I libri, gli articoli, i saggi su Don Lorenzo Milani sono ormai molti: è il segno che la lezione del prete di Barbiana mantiene una straordinaria attualità e forza. Confinandolo in una piccola e povera parrocchia, in un paese sperduto sull'Appennino, l'Arcivescovo di Firenze Florit pensava di ridurlo al silenzio. Invece le parole di Don Lorenzo hanno varcato il muro degli anni, sono capaci di parlare alle menti e al cuore degli uomini e delle donne del XXI secolo.
Claudia Cappellini, in questo suo racconto, ci presenta Don Lorenzo da una particolare ottica di osservazione: quella degli allora ragazzi di San Donato di Calenzano, che lo conobbero e frequentarono sul finire degli anni quaranta e l'inizio degli anni cinquanta, del precedente secolo, e dei "suoi" ragazzi di Barbiana.
E' questo per me il carattere più interessante del testo, predisposto anche per rappresentazioni teatrali.
A Calenzano il giovane prete si formò, nella vita di ogni giorno, un'idea di Chiesa, in grado di essere presente e partecipe dei problemi concreti delle persone, coerente con il messaggio evangelico non in astratto, ma con un impegno visibile contro le ingiustizie, dallo sfruttamento del lavoro, al furto del diritto all'istruzione per i giovani più poveri.
Nasce in quegli anni Esperienze Pastorali, del quale il Sant'Uffizio proibirà la diffusione, ma che anticipa per molti aspetti le grandi innovazioni del Concilio Vaticano II.
Negli anni di S. Donato matura anche in Don Lorenzo la centralità di un impegno per la formazione dei ragazzi, che caratterizzerà la sua stessa missione pastorale.
A S. Donato costruirà corsi serali, togliendo addirittura il Crocefisso dalle pareti del locale della parrocchia, per evitare che potesse far pensare ad una scuola confessionale; a Barbiana darà vita ad una scuola severa, impegnativa - 12 ore al giorno, per 365 giorni l'anno - nuova nei metodi di apprendimento, perché, come è scritto in Lettera ad una Professoressa, "nessun ragazzo è negato alla scuola, il segreto è saper muovere le corde giuste".
Claudia Cappellini, correttamente, percorre le tappe salienti della vita di Don Lorenzo, ancorandola a questo compito di formare i ragazzi, di spezzare, anche con l'esperienza della scuola di Barbiana, il carattere selettivo della scuola italiana nei confronti dei più poveri e bisognosi: anche la clamorosa vicenda della polemica con i cappellani militari sul volere dell'obiezione di coscienza e la lettera ai giudici ha - lo afferma lo stesso Don Lorenzo - il suo fondamento nel dovere di ricercare la verità, di vivere con un impegno di coerenza, di formare le giovani generazioni.
Il momento educativo è laico - ci diceva un altro "grande" del cattolicesimo italiano, Ernesto Balducci - e pertanto "già evangelico se è un momento in cui si realizza il passaggio dalla subalternità all'autonomia".
Don Lorenzo, nella sua vita, ha operato perché nella società e all'interno della stessa Chiesa, le persone fossero autonome, non subalterne ed ha sofferto fino all'ultimo momento, sul letto di morte, chiedendosi se fosse giusto quel suo modo di essere prete, se la sua ribellione obbedientissima fosse utile alla sua Chiesa.
Questa è la sua lezione, valida e attuale perché oggi ancora di più abbiamo - nelle famiglie, nella scuola, nelle istituzioni civili e religiose - il dovere di educare e di formare, sapendo che, nella società plurietnica e multirazziale, i poveri e gli esclusi non sono meno numerosi di ieri e riguardano sia i vecchi che i nuovi italiani.
Saper ricordare è indispensabile ad un dovere di impegno, per rendere il mondo migliore contro ogni rassegnazione, perché, come scrive Claudia Cappellini "ricordare è riportare al cuore". Il racconto contribuisce così a dare voce ad un passato e ai suoi protagonisti, che ci preme non smarrire, ma far vivere nel nostro futuro.
Vannino Chiti