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Claudia

Giovanni Bellini

Clemente Romualdi

Mario Rosi

Maresco Ballini

Teopisto Bonari

frontespizio

Claudia Cappellini.

Nata a Fucecchio, attualmente risiede a Pistoia. Dopo la laurea ha svolto la professione di giornalista e di insegnante. Attualmente è Funzionario responsabile del servizio Cultura, Comunicazione e Sport del Comune di Quarrata (Pistoia). Ha scritto vari testi per il teatro, tra i quali: Voce bambina, Set – monologo da viaggio, Piano Chet.

Un viaggio lungo un mondo è stato pubblicato dalla casa editrice Settegiorni ed è stato messo in scena per la prima vota il 7 luglio del 2011 sul sagrato della Chiesa di San Donato a Firenze.

Ottobre è il mese delle speranze. Si spera in un autunno benevolo che faccia da preludio ad un inverno non tanto avverso, ad un freddo sopportabile, ad una oscurità serena che sia solo buio ma non tristezza. E ottobre è il mese di quelle belle giornate di sole pieno, caldo, arancione, che colora i boschi di sfumature dorate ed il mare di bagliori viola. È il mese delle lame di luce obliqua che tagliano gli oggetti in maniera nitida, ne definiscono i contorni, ne accentuano le linee. È il mese della pioggia che porta via i residui del calore estivo, che pulisce colpendo a sciabolate l’aria con grandi goccioloni o con l’immensa moltitudine di goccioline sferzanti e prepotenti.

Il giorno nove dell’ottobre del 1947, un giovedì, una pioggia continua, fredda, decisa a compiere la sua missione di ambasciatrice dell’inverno, cominciò a cadere fin dalle prime ore del mattino e continuò per tutto il giorno, la notte, i tre giorni seguenti.

Un uomo slanciato, giovane e con un sorriso rivolto al mondo, cercò di scrollarsi di dosso le gocce della pioggia e prese posto dal lato del finestrino di una cor- riera bianca e blu che era ferma al capolinea in Piazza Santa Maria Novella. Il romanico perfetto della chiesa mostrava sulla facciata lunghe striature di pioggia che scurivano il marmo e conferivano al verde del serpentino di Prato un tono più scuro e più austero. Un chiesa austera, pensò l’uomo guardando la facciata. Austera e lontana, per essere precisi.

La corriera si mosse. L’uomo lasciava Firenze senza rimpianti, anzi, con un certo sollievo, con la leggerezza d’animo di chi si lascia alle spalle una vita passata nell’attesa di nuove occasioni: incontri, sguardi, strette di mano. Ripensò alle parole del libro della Sapienza: “A chi non capiva è parso che io morissi”. E invece lui non era morto, era vivo, consapevolmente vivo e felice, e non solo stava attraversando la città ma anche un confine, il confine tra quello che era stato fino a quel momento e quello che lui sarebbe diventato appena sceso da quella corriera.

Vide da lontano il campanile aguzzo di San Donato, la pioggia lo rendeva grigio ma lui sapeva bene che, appena asciutto, il bianco della pietra alberese avrebbe preso il sopravvento e avrebbe ridefinito il paesaggio del cielo. Vide i campi ritagliati dal fianco scosceso della collina, campi difficili da misurare, da passeggiare e da lavorare; vide gli olivi, le foglie argentate e mosse dalla pioggia, il monte Morello, a guardarlo bene aveva una radura proprio sulla vetta, non ci aveva mai fatto caso. Pensò ai commenti di un’amica della mamma: “San Donato? Ben due papi son partiti da San Donato. I papi dei Medici. Una chiesa di papi. Chi va a San Donato può dunque legittimamente aspirare al soglio di Pietro”. Rise a quel pensiero. La parola “le- gittimamente” usata in quel contesto lo faceva ridere. Che spreco di parole. La gente spesso voleva decidere della vita degli altri, o, anche se non voleva proprio decidere, voleva insinuare la possibilità di un progetto

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futuro e diverso dalla decisione degli altri. Era un gio- co. Chi sapeva, poteva immaginare l’inimmaginabile. La corriera arrivò alla sua fermata. Pioveva anche lì. Sotto l’acqua sul ciglio della strada vide una quindici- na di ragazzi e giovanotti che guardavano all’interno della corriera cercando di riconoscere qualcuno che aspettavano, evidentemente. L’uomo dall’interno della corriera li osservava, in un tempo sospeso, poi si rese conto che doveva scendere, prese la valigia e si avvicinò all’uscita. Non aveva neanche messo il piede sul primo gradino per scendere che uno dei ragazzi si staccò dal gruppo, gli andò incontro, gli afferrò la valigia e, contemporaneamente, con una bella voce argentina gli chiese: “Lei è don Lorenzo, vero? Il nuovo cappellano...”. Don Lorenzo salutò e strinse la mano a tutti. La pioggia, nonostante gli ombrelli, scorreva sulle mani, sui volti, sulla valigia che passava di mano in mano ai ragazzi. Pioveva così tanto che don Lorenzo pensò che il Signore voleva battezzarlo infinite volte mettendo a dura prova il suo fisico ma non il suo mo- rale. Il corteo festoso e bagnato cominciò a salire verso la chiesa. Don Lorenzo misurava con lo sguardo i cam- pi scoscesi che facevano ala al corteo e gli occhi allegri dei ragazzi che gli dicevano quanto don Pugi sarebbe stato contento ora che lui era finalmente arrivato. Tutti sapevano infatti che don Pugi non ce la faceva più a reggere la parrocchia e che era andato a parlare con il cardinale a Firenze chiedendogli un cappellano. Ma non sapeva come fare a pagarlo. Il cardinale rispose: “Ho quest’anno un giovane prete, non ha nessuna pre- tesa e vuole vivere poveramente: un certo don Lorenzo Milani”.

"Saper ricordare è indispensabile ad un dovere di impegno per rendere il mondo migliore contro ogni rassegnazione, perché, come scrive Claudia Cappellini "ricordare è riportare al cuore". Il racconto contribuisce così a dare voce ad un passato e ai suoi protagonisti, che ci preme non smarrire, ma far vivere nel nostro futuro(...) come è scritto in Lettera ad una Professoressa, 'nessun ragazzo è negato alla scuola, il segreto è saper muovere le corde giuste'.".

Vannino Chiti

Vice Presidente del Senato

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Testimonianze